L’essere umano ha come motivazione sovraordinata quella di adattarsi alla realtà e appagare bisogni e desideri evoluzionisticamente fondati, ed è intrinsecamente motivato ad acquisire controllo su se stesso e la realtà, a risolvere i propri problemi e padroneggiare i propri traumi.
L’essere umano è inoltre dotato di sofisticate capacità di funzionamento e autoregolazione, consce e inconsce che, in presenza di un ambiente relazionale sufficientemente sintonizzato che faccia sentire al sicuro, gli consentono di adattarsi in modo ottimale alla realtà.
Quando subisce dei traumi o è vittima di eventi avversi, l’essere umano cerca quindi consciamente e inconsciamente di comprendere in che modo possa aver contribuito al loro verificarsi e come possa evitare che essi si ripresentino in futuro.
Se un trauma si verifica in età evolutiva, però, il modo di dar senso a esso è plasmato dalle caratteristiche dello psichismo infantile: dalla dipendenza dai genitori, dal bisogno di vederli come forti, saggi e giusti e dalla tendenza a dar loro ragione in caso di disaccordi; dall’egocentrismo cognitivo ed emotivo; dalla tendenza ad attribuirsi la responsabilità anche di eventi su cui non si ha alcun potere; dalla mancanza di esperienza; e dalla tendenza a iper-generalizzare tipica dei bambini. Queste caratteristiche psichiche, assieme ai messaggi e all’esempio dei genitori, favoriscono lo sviluppo di credenze patogene, cioè di credenze che associano il perseguimento di obiettivi sani e realistici a pericoli per se stessi, gli altri significativi e le relazioni importanti.
Le credenze patogene impediscono quindi il raggiungimento di obiettivi sani, o connotano i tentativi di raggiungere questi obiettivi con sentimenti dolorosi di paura, vergogna, angoscia e colpa, costituendo così la base della psicopatologia funzionale. Per questo motivo, ognuno di noi vuole, consciamente e inconsciamente, disconfermare le proprie credenze patogene.
La disconferma delle credenze patogene è alla base della ricerca, conscia e inconscia, di esperienze emotive correttive e di strumenti che permettano di avere un maggior controllo sul proprio funzionamento cognitivo, emotivo e relazionale, ed è alla base del piano più o meno dettagliato, e in genere inconscio, con cui i pazienti vengono in terapia.
Il ruolo dello psicoterapeuta è aiutare il paziente a ottenere ciò di cui consciamente e inconsciamente ha bisogno per stare meglio, cioè a realizzare cioè il suo piano.
In quest’ottica, tanto i modelli di matrice psicoanalitica quanto quelli cognitivo-comportamentali forniscono al clinico prospettive e strumenti utili a comprendere e aiutare i diversi pazienti a realizzare il loro piano in un’ottica integrata e altamente personalizzata.
A prescindere dalle proprie preferenze e inclinazioni, infatti, ogni psicoterapeuta deve costruire un trattamento specifico per ogni paziente sulla base della comprensione di:
1) Cosa vuole ottenere quel paziente dalla terapia;
2) Cosa gli ha impedito, fino a ora, di ottenere ciò che vuole;
3) Quali sono i traumi e gli eventi avversi che hanno favorito il costutirsi di questi ostacoli al raggiungimento degli obiettivi che ha;
4) Come vorrebbe essere aiutato a padroneggiare questi traumi e superare questi ostacoli;
5) Cosa vuole capire di se stesso per stare meglio.
Al centro di una psicoterapia non vi è quindi cosa il clinico pensi sia giusto, bensì ciò di cui il paziente ha bisogno.